martedì 18 marzo 2014

FASCISMO : ECONOMIA DEL REGIME " LIBERISTA " FINO AD OBAMA.

di Attila Piccolo

Mi trovo ad interpormi con persone che o antifasciste o para fasciste o simpatizzanti fasciste o di destra,  sostengano ancora oggi  che il Fascismo fosse contro il liberismo.

Di seguito, espongo, sviluppo non tesi ma verità con fondamenti storici e di pensiero che sfuggono a molti sostenitori o detrattori sull'ortodossia del pensiero e della politica fascista.

La prima fase del fascismo è caratterizzata da una politica economica di impronta liberista, gestita dal liberale De Stefani che procede alla rimozione dei vincoli alla libertà di impresa istituiti durante la Grande Guerra e a massicci interventi statali finalizzati ad incoraggiare gli investimenti privati, oltre che al salvataggio di banche e industrie (Banco di Roma, Ansaldo, ecc.).
Ben presto, però, l’economia italiana si trova a dover fare i conti con l’indebolimento della bilancia commerciale e l’inflazione crescente.

 Nella seconda metà degli anni Venti, perciò, matura la svolta dalla politica liberista a quella dirigista, con lo Stato che oltre al ruolo di garante assume anche quello di protagonista e organizzatore del ciclo economico.
 E' la completa libertà del singolo di intraprendere un'attività liberamente, di gestirla secondo concetti di massimo rendimento e lucro ( minimo sacrificio per massimo profitto), secondo le leggi del mercato (legge della domanda ed offerta) senza interventi esterni e senza regole che incidano sul "naturale" corso del mercato.

Il Liberismo: esiste da sempre : è la completa libertà del singolo di intraprendere un'attività liberamente, di gestirla secondo concetti di massimo rendimento e lucro ( a minimo sacrificio per massimo profitto), secondo le leggi del mercato (legge della domanda ed offerta) senza interventi esterni e senza regole che incidano sul "naturale" corso del mercato.
 Ad esempio delocalizzare le aziende in siti dove la manodopera lavora il doppio delle ore e non fa riposi e prende un pugno di riso è un perfetto comportamento liberista.
Fascismo pur essendo affine al liberismo, infatti i lavoratori non sono affatto tutelati dalle angherie padronali, i ha affinità con il sistema keynesiano in quanto interviene marginalmente in economia sempre dove il privato ha poco interesse a farlo o dove d'imperio il partito decide che lo Stato debba interessarsi alla cosa.o il partito decide che lo Stato debba interessarsi alla cosa :
-Stimolazione dell'iniziativa privata
-Riduzione della spesa pubblica
-No blocco inflazione
-No stabilizzazione moneta

  Fu il Fascismo, un puntello formidabile per il sistema liberalcapitalistico ormai accerchiato dalle masse popolari in tumulto nel Biennio Rosso, che chiedevano a gran voce diritti, libertà, partecipazione politica ed equa distribuzione della ricchezza e, quindi, la fine dei privilegi reali e formali dei quali la borghesia italiana godeva per il contributo determinante dato alla causa savoiarda per l'Unità.
 Se il capitalismo non è altro che il libero mercato direi che i fascisti lo appoggiano.
 Il fascismo non fu uno stato totalitario, come scrisse Giovanni Amendola..
Conservò parte delle istituzioni liberali, mantenendo la monarchia, il Senato, lo Statuto albertino, venendo a patti con la chiesa cattolica, riattivando vari lasciti della Destra storica.
E parte della “Costituzione economica” fascista sopravvisse nel postfascismo e nella Repubblica nata dalla resistenza che mantenne le strutture della amministrazione parallela, dall’Iri, all’Imi; e conservò almeno due terzi delle vecchie norme amministrative fasciste: dalla legge bancaria del 1936, al Codice di procedura civile, dal Codice penale alla legge Bottai sulla tutela dei Beni culturali.
A sviluppare oggi questa tesi, sostenuta nel 1951, sono una filosofa della politica come Hannah Arendt e dagli storici Renzo De Felice e Alberto Aquarone.

E' importante come  Sabino Cassese, giudice costituzionale nominato da Carlo Azeglio Ciampi, amministrativista allievo del grande Massimo Severo Giannini, appartiene infatti a quella sinistra riformista che preferisca aprirsi alla dialettica con la destra, anziché arroccarsi nell’ostracismo per denunciare il vulnus della democrazia “sempre in bilico.
 Da qui, la sua disinibita ricostruzione in un saggio breve ma di sicuro successo (“Lo Stato fascista”, Il Mulino).
 Il verdetto di Cassese è drastico: definire il fascismo uno stato totalitario non è di grande interesse e può essere addirittura fuorviante, lo stato fascista fu una combinazione di elementi eterogenei.
Riutilizzò gli strumenti dello stato liberale, depotenziandoli e riadattandoli.

 Tra il 1922 e il 1925, in seguito alla fine della crisi internazionale, l’Italia poté espandersi economicamente grazie alla "politica liberista" attuata dal governo fascista.

Si favorì, infatti, l’accumulazione del profitto attraverso la riduzione delle imposte, venne abolito il monopolio sulle assicurazioni sulla vita, il servizio telefonico fu privatizzato e si riuscì a tagliare la spesa pubblica.
Nel 1925, invece, ci fu un ritorno al protezionismo.
 Si favorirono, cioè, le esportazioni a danno delle importazioni con la conseguente applicazione delle tariffe doganali.
Il protezionismo di questo periodo riguardò soprattutto il grano.
 L’Italia non ne produceva abbastanza ed era costretta ad importarlo.
Per far sì che il paese fosse autosufficiente, Mussolini diede inizio alla “battaglia del grano”: ne incentivò con una politica strettamente liberista la produzione, modernizzando l’agricoltura, aumentando i terreni coltivabili e dando premi agli agricoltori che ne producevano di più.
Solo nel 1926 il Fascismo volle intervenire nelle questioni che riguardavano capitale e lavoro per il bene dello stato.
 Nacque, così, il corporativismo che ebbe la sua massima espressione con la pubblicazione della Carta del lavoro del 1927.
Ma solo ora e con la mutazione degli equilibri politico-economico-sociali.

 I liberali ( invece teorizzano la necessità di uno Stato con funzioni minime)  i libertari ( auspicano una società senza Stato completamente basata sui principi del libero mercato) criticano indifferentemente ogni tipo di statalismo a prescindere da chi lo attua, la destra, invece rappresentata dai conservatori (che invece ha assorbito i principi del liberismo e che in ambito economico ha posizioni molto vicine a quelle dei liberali), si differenzia dall' espressione "estrema destra" per differenziare le posizioni di partiti che si richiamano al fascismo.

Il liberale Gentile entra nel Fascismo.
Gentile ci parla di un liberalismo non individualista. Oggi questa idea appare in evidente contrasto con l’accezione più comune del termine liberalismo.
Quando infatti pensiamo al liberalismo pensiamo in prima istanza ad una linea della riflessione politica che da Locke e dal Secondo trattato sul governo attraverso la divisione, la limitazione ed il controllo del potere garantisce la libertà individuale dall’indebita ingerenza dello Stato.
 Per Gentile, al contrario, il liberalismo conduce ad una dottrina dello stato.
Per meglio comprendere le affermazioni di Gentile è opportuno ricordare alcuni tratti
dell’esperienza del giovane siciliano che nato nel 1875 vinse nel 1893 il concorso per l’ammissione
alla Normale di Pisa, già allora uno degli istituti più prestigiosi della nazione emergeva una forma di liberalismo moderato, liberalismo in quanto affermava la necessità della libertà intellettuale ed economica dell’individuo e contemporaneamente la necessità di un forte principio di ordine, che appunto avrebbe dovuto garantire il giovane stato nazionale dagli assalti che venivano ad esso portati dalla Chiesa e dalla sinistra socialista (in realtà dalla richiesta delle masse di poter partecipare alla gestione della cosa pubblica) e preservarlo dalle degenerazioni del parlamentarismo.

Tale concezione, che aveva evidenti radici nelle particolari modalità con le quali era nato il giovane
stato italiano, veniva unita da Bertrando Spaventa e dagli hegeliani di Napoli ad una concezione
della nazionalità come “unità: unità viva, libera e potente come lo Stato”.
Il problema che si poneva era quello storico del rafforzamento del giovane stato unitario e quello
del sentimento comune, della unità delle convinzioni ideali di un popolo, per essere più precisi
della educazione di un popolo alla realtà ed ai principi dello Stato nazionale.
Sia il liberalismo risorgimentale al quale ho fatto cenno, sia il riferimento ad Hegel conducevano a
ritenere che lo sviluppo delle facoltà individuali, la libertà nel suo senso più concreto, si potesse
realizzare soltanto all’interno di una compagine statale potente e dotata di un proprio ethos: in
quegli stessi anni inoltre l’idea dello stato potenza, dello stato forte, riecheggiava nei contrasti tra le
diverse nazioni per la supremazia nei paesi extra europei.
Dopo la marcia su Roma, del 28 ottobre 1922 Mussolini lo invitò al Ministero della
pubblica istruzione, egli accettò l’incarico.
 Le ragioni della scelta di Mussolini? Perché Gentile?
Ricordiamo che il filosofo era un intellettuale la cui centralità nel mondo della cultura e
nell’opinione pubblica era aumentata notevolmente proprio negli anni della guerra.
Egli era inoltre noto come "liberale conservatore" , anticomunista ed era un punto di riferimento sia all’interno di diverse università sia all’interno di un ampio movimento che si impegnava per la riforma della scuola, concezione liberale.

Perché insomma Gentile accettò? Cosa credette di vedere nel fascismo?
Nel gennaio del 1923, nel primo numero della rivista “La nuova politica liberale”, una rivista creata
da un suo allievo, Carmelo Licitra e alla quale partecipano come “collaboratori fondatori” Croce,
Lombardo Radice e Volpe pubblica un breve scritto “Il mio liberalismo”.
Si tratta di un testo importante perché riprende un tema che abbiamo già affrontato, ma dopo
l’adesione al fascismo (in realtà egli aderirà ufficialmente al fascismo nel maggio dello stesso anno).
La distinzione da cui Gentile parte è di nuovo quella tra “il liberalismo materialista del secolo
XVIII, nato in Inghilterra nel precedente, ma diventato nel Settecento il credo della Rivoluzione” e
un liberalismo nato “nel secolo XIX … attraverso quella critica del materialismo che in tutti i
paesi d’Europa in vario modo condusse alla riaffermazione dei valori spirituali”.
Come già sappiamo per Gentile, “un liberalismo senza stato è un liberalismo senza libertà”, perché lo Stato è
liberale se promuove lo sviluppo della libertà.
Il liberalismo di Gentile è “il liberalismo nuovo o dottrina dello stato etico”.
Si tratta di una concezione politica che, proprio perché prevede il sacrificio dell’individuo porta Gentile ad essere convinto della necessità di “uno stato forte, come dovere e diritto del cittadino e di una disciplina
ferrea che sia scuola rigida di volontà e di caratteri politici”.
 Perciò, continua, “sono fermamente convinto della necessità di svegliare e di sviluppare in politica un senso energico di religiosità e di moralità e di portare, d’altra parte, un senso di misura e di determinatezza politica, cioè di concretezza sociale e storica nello sviluppo etico-religioso dell’individuo.

Lo stato è qui dovere e diritto del cittadino: esso esiste nello spirito dell’individuo che deve
assoggettarsi ad una ‘disciplina ferrea’, ad una rigida educazione politica e morale, così da far vivere questo nuovo stato.
 Con il fascismo si può avere vero liberalismo poiché riporta ai valori primigeni del Risorgimento: Gentile dimostra un forte approccio storicistico, secondo il quale il fascismo trarrebbe la sua legittimazione dalla storia.
Ma Giovanni Gentile fu “uno strano tipo di liberale”, critico del liberalismo individualista ed antistatalista, che dovrebbe invece costituire l'anima di ogni autentico liberalismo, e fortemente orientato ai valori della conservazione e dello stato etico.
Alla luce di queste concezioni politiche, infiammato internamente vigeva il liberismo economico, controllato appena appena dallo Stato (durante il periodo prefascista era invece selvaggio, come oggi).
Lo Stato stesso iniziò la fondazione di Enti particolari, fra cui l'Ente Nazionale Risi e l'Amministrazione Monopolio Banane (prodotte in Somalia, marchio "Somalita" ).
Non esisteva dirigismo statale, anzi quando si trattò di progettare armi come i carri armati o gli aerei ci si trovò in una situazione opposta a quella tedesca: in Germania, i progetti di una fabbrica erano messi a disposizione di tutti e se una specifica ministeriale per un carro sortiva due buoni progetti, le due aziende erano incaricate di produrre un efficiente ibrido che coniugasse le buone qualità di entrambi i mezzi.
 Per non parlare della produzione di armi, anche leggere, delegata a più sottoappaltatrici che fornivano i pezzi che venivano poi assemblati presso la sede centrale.
Da noi vigeva invece il protagonismo liberista più assoluto: ogni Casa produceva le sue apparecchiature, i suoi carri o fucili o mitragliatori, e non si arrivò mai a definire dei veri progetti "integrati" con gravissimo danno per la nostra efficienza militare.

Sotto il Fascio, quindi, a parte minimissime iniziative da parte statale, come (giustamente) la regolamentazione degli orari degli esercizi pubblici, la definizione di licenza di Ps per "locale notturno" (quello aperto dopo le 23°°), la suddivisione merceologica delle licenze (tutti provvedimenti sopravvissuti di 60/70 anni al fascismo, a dimostrazione della loro bontà), il n° "chiuso" di licenze rilasciabili per genere merceologico in ogni città... per il resto troviamo una normale economia capitalistica.
 I padroni comandavano a bacchetta, il licenziamento era sempre ventilato come minaccia, la disciplina era d'acciaio, i sindacati erano di Regime quindi una mera bufala, e solo nel 1937 in un sussulto di rimorsi socialistoidi il Duce fè emettere una "carta del Lavoro" che avrebbe voluto essere un blando ed annacquato "statuto dei lavoratori".
 Il termine liberal-fascismo suona come un ossimoro – o come un termine usato dai conservatori per offendere i progressisti.
 In realtà, questa espressione è stata coniata da uno scrittore socialista, nientedimeno che lo stimato e influente H. G. Wells, il quale nel 1931 chiese ai compagni progressisti di diventare "liberal-fascisti " e "nazisti illuminati".
 Essendo una ideologia statalista, il fascismo utilizza la politica come mezzo per trasformare la società composta da individui atomizzati in un insieme organico.
 Così facendo, si eleva lo stato sull'individuo, le conoscenze specialistiche sulla democrazia, il consenso forzato sul dibattito e il socialismo sul capitalismo.
 Il messaggio del fascismo può essere così sintetizzato: "Basta con le parole. Più azione!"
Il suo è un persistente appello ad agire.

 Goldberg smonta pezzo per pezzo i programmi progressisti americani – razziali, economici, ambientalisti e perfino il "culto dell'integrazione organica" – e mostra le loro affinità con i programmi di Mussolini e Hitler.
Se questo sembra essere sorprendentemente non plausibile, si legga Liberal Fascism dalla prima all'ultima pagina per le sue colorite citazioni e per la convincente documentazione.
 L'autore, finora conosciuto come un intelligente e sagace polemista, ha dimostrato di essere un grande pensatore politico.
Oltre a offrire una visione radicalmente differente per comprendere la politica moderna, in cui il termine fascista non è più calunnioso di quello socialista, lo straordinario libro di Goldberg offre ai conservatori i mezzi per replicare ai loro vessatori progressisti e per riuscire a passare all'offensiva.
 Se i progressisti possono perennemente evocare lo spettro di Joseph McCarthy, i conservatori possono replicare con quello di Benito Mussolini.

Obama fascista.
L'esperienza del salvataggio dei giganti dell'auto negli Stati Uniti di oggi non implica che ogni salvataggio sia giustificato, perché il risultato finale dipende dalle aziende - se sono capaci o meno di tornare competitive senza aiuti pubblici.
All'epoca del salvataggio vi era chi accusava Obama di spingere gli Stati Uniti incredibile ma
vero, verso il “fascismo”.
L'argomentazione era quella che sostiene che mentre il Socialismo nazionalizza i mezzi di produzione, il Fascismo ne decide l'allocazione, mentre li lascia nelle mani dei privati.
 Tuttavia la deriva “fascista” di Obama con le ultime vicende è scomparsa  perché tutto (ossia il controllo dei mezzi di produzione) è tornato in mani private, senza che il Tesoro ci abbia rimesso (a fare bene i conti).
Quindi il Fascismo fu liberista?
Si lo fu fin dalle sue origini, lo fu fino al 1926/1927.
Ma il fascismo era di destra? No! Non lo era!

Attila Piccolo

Bibliografia :
Liberismo, protezionismo, fascismo. Un giudizio di Luigi Einaudi ...
www.inmondadori.it - 364 × 568 - Ricerca tramite immagine
Liberismo, protezionismo, fascismo. Un giudizio di Luigi Einaudi

Luca Michelini » Liberalismo, nazionalismo, fascismo. Stato e ...
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Liberalismo, nazionalismo, fascismo. Stato e mercato, corporativismo e liberismo nel pensiero economico del nazionalismo italiano ...



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